La Storia
Di Golfo Aranci
Brevi cenni storici
Se pur Golfo Aranci trattasi di un paese di recente ubicazione, non mancano cenni storici di cui ne fa parte.
L’Autonomia
Tutto cominciò a partire dai primi anni ‘ 60 con lo sviluppo economico del paese. In quel tempo Golfo degli Aranci apparteneva al Comune di Olbia e pur essendo una delle coste più apprezzate dal turismo estivo, veniva trattata come la cenerentola delle frazioni. Presumibilmente il paese costituiva “un sassolino dentro la scarpa” e quella scarpa la indossava il comune di Olbia. Potrebbe apparire un parere personale o qualcosa di simile: niente affatto. Se prestiamo attenzione ai libri di storia (vedi F.F.S.S. la storia), essa ci insegna che sin dal principio, quando cioè le Ferrovie dello Stato scelsero Golfo degli Aranci per il collegamento con Civitavecchia, la politica olbiese, non affatto d’accordo, mirava per ottenere quello che un domani sarebbe diventato il sicuro sviluppo economico del porto gallurese. La questione portuale, potrebbe essere una delle principali cause che hanno indotto i golfarancini e l’allora Comitato dell’Autonomia, a farsi carico di portare avanti il progetto autonomistico, superando quello che possiamo definire “il muro di gomma politico”, che vedeva in Olbia la principale oppositrice. Tra i protagonisti dell’autonomia, non si può non ricordare alcuni protagonisti: Sergio Memmoli, Enzo Zannini, Angelo Nieddu, Agostino Pitzoi, Gennaro Chiocca, Angelo Del Giudice, Pasquale Finà e tutti quei giovani che, esposti in prima persona, furono il braccio forte nelle manifestazioni di protesta. Cosicché quello che per tutti sembrava un traguardo irraggiungibile, per via della sua lunga durata, un bellissimo giorno, nel mese di febbraio ’79, con un telegramma Pietro Soddu, allora Presidente della Regione Sarda, comunicava al Presidente del Comitato Autonomia Golfo degli Aranci Enzo Zannini, le sue felicitazioni per la costituzione del nuovo Comune. La gioia fu immensa finalmente si realizzò il sogno tanto atteso e presto cominciarono i festeggiamenti. Il referendum popolare fu indetto la domenica del 7 maggio 1978, mentre il primo Consiglio comunale è stato eretto con elezioni nel dicembre ‘ 79. Per l’occasione fu dedicata una poesia dal titolo ( 7 maggio golfarancino scritta da Angelo Nieddu ). Gli anni successivi non furono tra i più rosei per il giovane comune, tuttavia oggi possiamo vantare di aver inserito il paese nella categoria a cui più gli si addice portandolo ai primi posti della classifica, tra le coste più rinomate del mediterraneo.
Per mancanza di documentazione ufficiale, non è stato possibile citare tutti i principali protagonisti della vicenda, ma siamo ben lieti di pubblicare altri nominativi qualora ci venissero forniti.
Guglielmo Marconi a Figari
Guglielmo Marconi nasce a Bologna il 25 Aprile 1874. Intuisce per primo la possibilità di utilizzare le onde elettromagnetiche per trasmettere messaggi a distanza senza collegamenti con fili. Nei suoi primi esperimenti realizzati fra il 1894 e il 1895 nella villa paterna di Pontecchio, pone le basi per la trasformazione degli esperimenti scientifici di Hertz in un primitivo sistema di telegrafia senza fili.
Perché ricordiamo Marconi?
Il 10 Agosto 1932 Guglielmo Marconi approdò a Golfo Aranci a bordo dell’Elettra, la sua nave-laboratorio acquistata nel 1919, e il giorno successivo gli apparati (il riflettore ricevente) furono trasportati al semaforo di Capo Figari per installare il collegamento in microonde Rocca di Papa – Capo Figari (Sardegna) 269 km e la centrale amplificatrice di Cala Spada. L’esperimento, dopo opportune regolazioni, riscontrò un grande successo e risultati furono ottimi fino al tramonto, durante le ore serali si ebbe conferma che i segnali subivano una forte attenuazione, grazie alla sporgenza e l’altezza che forma la località di Capo Figari, questo spiega il fatto perché ancora oggi essa viene utilizzata per lo stesso scopo. Per affermare e confermare l’ingegno del grande Marconi per alcuni anni sul monte di Capo figari si è svolta una manifestazione in suo onore ” Il Marconi Day”, la quale durava circa tre giorni e vedeva impegnati i radioamatori della Sardegna in collegamento con tutto il mondo portando la sigla “IYOGA”.
Le Navi Reali d’Italia
E’ un fatto storicamente provato che regnanti, uomini di Stato e di Governo aspirano ad avere una nave di rappresentanza per i loro spostamenti, a volte in forma ufficiale, a volte con un carattere più spiccatamente turistico, utilizzando unità facenti parte, in genere, del naviglio militare. Addirittura alcune dinastie, come quella dei Windsor, ne hanno fatto un vanto durato fino ai nostri giorni, anche se spesso costosissimo per le casse dell’erario e oggetto di rimostranze da parte degli organi amministrativi dello Stato; al contrario altri uomini di Stato, come Adolf Hitler, che pure aveva a disposizione il bellissimo yacht Grille, le hanno snobbate nella maniera più assoluta. Lo Zar Alessandro II ne fece addirittura progettare una con lo scafo appositamente studiato per limitare al massimo le conseguenze del mal di mare che lo affliggeva, la rotondeggiante “popovka”. In tempi a noi vicini il megalomane leader romeno Nicolae Ceausescu fece ricavare un lussuoso appartamento presidenziale nel cuore dell’incrociatore missilistico Marasesti. Non tutti, in ogni modo, presero in considerazione l’idea di disporre di una nave del genere; ne furono esenti, ad esempio, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, accomunato in questo con il “piccolo padre” di tutte le Russie Josiph Vissarionovic Stalin e con il presidente francese Charles De Grulle. Verso la fine dell’800 molti Paesi a quel tempo “giovani” come il Regno d’Italia sentì l’esigenza di avere una nave reale, anche se, con discrezione, il futuro Re Vittorio Emanuele II, sposato con la bella principessa Elena Petrovic-Niegos, preferirà in seguito navigare su un suo yacht privato, chiamato appunto Yela, ossia Elena nell’indioma montenegrino. Le regole, tuttavia, sono le regole e Sua Maestà doveva disporre della sua nave, doverosamente da guerra, e così fu. Anche se, tutto considerato, scelta secondo criteri del tutto particolari.
Una scelta molto discutibile
La prima unità che fu designata ad essere nave reale italiana, fu un incrociatore, o meglio il regio incrociatore – nave reale Savoia, progettato dal generale ispettore del Genio Navale Carlo Vigna, costruito a Castellammare di Stabia nel 1880, varato nel 1883 ed entrato in servizio due anni dopo. Il Savoia era in ogni caso il seguito di un esperimento già realizzato (ma poi abbandonato) da altre Marine, ossia quello di poter disporre di una nave reale utilizzabile anche come sede di comando di forza navale complessa in caso di guerra. Purtroppo questa tendenza a voler fare troppe cose, o comunque a voler ottenere troppi risultati, con pochi mezzi, si è spesso rivelata una caratteristica di molti ambienti militari, anche se, per fortuna, non solo italiani. Così l’incrociatore Savoia fu tutto meno che una nave da guerra: con un armamento quasi inesistente, non avrebbe neanche potuto difendersi (nell’ultima versione era dotato appena di quattro cannoni da 57 mm), mentre in compenso fu molto curata la sua abitabilità . Si trattava di un’unità con un dislocamento di 3.266 tonnellate con uno scafo lungo 93,8 metri fuori tutto e propulsione meccanica in grado di fare raggiungere i 14,5 nodi, dotata però anche d’alberatura e velatura ausiliaria. Tuttavia il Savoia, che non ebbe mai né una vera vita operativa né compiti di rappresentanza di spicco: fanno eccezione il suo passaggio nel nuovo canale navigabile di Taranto il 21 agosto 1889 e, il 23 aprile dello stesso anno, la partecipazione al Convegno Navale italo – britannico svoltosi al Golfo Aranci. In ambedue queste occasioni ospitava a bordo il Re Umberto I, perciò le relative notizie ebbero una vasta risonanza sulla stampa nazionale dell’epoca.
La notte del Tripoli
L’affondamento del piroscafo Tripoli costituisce il più grande disastro della navigazione commerciale in Sardegna sulla rotta Golfo Aranci – Civitavecchia. Si presuppone, per le sorprendenti coincidenze, di rapporti di interconnessione fra gli interessi in Sardegna dell’ammiraglio tedesco Alfred von Tirpitz e la sorte della nave italiana Tripoli, sempre basati su ipotesi, l’uso di basi segrete lungo le coste sarde per il rifornimento dei sottomarini. La drammatica fine del Tripoli è avvenuta il 17 marzo 1918. Con una lapide situata presso il Sacrario Militare di Cagliari, la Sardegna ha ricordato quella drammatica notte e il mistero che avvolge il siluramento avvenuto a largo delle coste di Capo Figari, sul quale non è mai stata fatta chiarezza. Il Tripoli non era una nave da guerra ma uno dei tre piroscafi di linea sulla rotta da e per la Sardegna. La notte tra il 17 marzo 1918 il Tripoli aveva a bordo 457 persone, compresi i 63 uomini di equipaggio. I militari erano 376, i civili 18, tra i quali alcune donne. All’ultimo minuto erano arrivati da La Maddalena 90 marinai che bisognava imbarcare a tutti i costi per ragioni urgenti, la nave era sovraccarica.
Come se non bastasse, quella notte, il tempo era di burrasca e il mare minacciava di diventare agitato. Infatti, dopo la sua partenza a poche miglia dalla costa le ondate colpivano già violentemente la prora del bastimento. Tra rollii e beccheggi, dopo un paio d’ore, la nave si lasciava dietro le coste dell’Isola con estrema lentezza, quasi con riluttanza, senza che mai dalla plancia partisse l’ordine al direttore di macchina di aumentare i giri delle eliche per ridurre gli effetti del maltempo. La nave aveva circa 100 miglia di mare aperto, tutt’intorno era buio, ma in compenso lampi frequenti illuminavano l’orizzonte, l’ultimo che avrebbe incrociato sulla sua rotta. Mancava poco. Il comandante ed i 35 uomini che formavano l’equipaggio dell’Unterseeboot, un sommergibile di ultima generazione, erano in attesa. La radio del sottomarino era distrutta dalle scariche elettriche del temporale, le stesse che erano ricevute dalla radio del Bengasi, l’altro piroscafo della stessa compagnia, che partito da Civitavecchia, compiva il percorso in senso opposto. Come se non bastasse anche il Tripoli aveva problemi di comunicazione, non solo con la tradizionale radio, ma anche con il ticchettio del tipico alfabeto morse, insomma quella notte la burrasca aveva interrotto le usuali comunicazioni di servizio tra le navi e la terra ferma. Di lì a poco sarebbe stata scritta una brutta pagina di storia.
Tra i passeggeri rischiavano la vita non solo uomini in divisa ma anche civili, perchè coinvolti in una guerra ormai senza più regole. Per il piroscafo partito dalla Sardegna il promontorio di Capo Figari era scaduto sulla sinistra, la visibilità era al quanto scadente, tuttavia la grande mole della nave passeggeri non passò inosservata al sottomarino tedesco, anche perchè se il siluramento fosse andato a segno, c’era un premio in denaro per tutto l’equipaggio. L’esito fu quello desiderato l’Unterseeboot tedesco fece centro. Il siluro colpì la sala macchine del Tripoli. Ecco le cifre;
equipaggio: imbarcati 63, salvati 38; militari 376, salvati 147; passeggeri civili 18, salvati 4 (tre uomini e una donna). Si narra che se non fosse stato per l’interruzione comunicativa i soccorsi avrebbero potuto trarre in salvo quasi tutti i passeggeri visto che l’inabissamento è avvenuto nell’arco di circa 4 ore.
Servizio traghetti a cura di Traghettilines