Atterraggio e approdo dei cavi telegrafici sottomarini a Cala Spada 1875
Golfo Aranci
I punti di atterraggio dei cavi telegrafici sottomarini, e quindi i loro approdi, erano di solito in baie riparate dal mare, con fondo di fango o arena, lontano dagli ancoraggi, foci dei fiumi, tonnare e località frequentate da navi da pesca a vapore. POSA E RIPARAZIONE DEI CAVI SOTTOMARINI – Crediamo opportuno, dopo aver parlato tanto dei cavi sottomarini, dare qualche cenno, alla buona, di questo argomento ignorato dai più. Cominciamo col dire subito, per togliere una credenza errata abbastanza comune, che il cavo va ad adagiarsi, per il proprio peso, in fondo al mare, sia esso profondo 50-100 metri, sia di 8.000 e magari 9.000 metri. In Mediterraneo la massima profondità, trovata posando il cavo Siracusa-Bengasi, è di 4.200 metri; in Atlantico 6.000 metri e nel Pacifico 9.000 metri. È ovvio che non si possono utilizzare i palombari anche lavorando in piccole profondità. Gli eventuali guasti vengono riparati pescando il cavo in mezzo al mare, nel punto del guasto; non si potrebbe prenderli alla spiaggia e salparli sino al guasto, l’operazione difficilmente riuscirebbe e guasterebbe anche il cavo. Ed ora rechiamoci nel Golfo della Spezia a San Bartolomeo. Dolcemente cullata da leggera ondulazione, vediamo una nave di forme singolari; ha la prua molto slanciata, quasi come un becco d’anatra, che porta fuori tre massicce pulegge. Altra grossa puleggia vediamo sporgere dalla poppa; sul ponte, macchine ed ordigni svariati. È la R.N. Città di Milano, che si appresta ad una spedizione per lavori in cavi sottomarini. Saliamo a bordo. La nave sta imbarcando diecine e centinaia di chilometri di cavo, di tipi diversi, che sono côlti, in strati orizzontali, in tre grandi vasche circolari. Vediamo imbarcare anche delle boe, di svariate forme e dimensioni, che servono a fissare un punto sul mare, ancorandole al fondo mediante cordami misti di acciaio e manilla, o ad assicurarvi la cima di un cavo telegrafico durante i lavori; vediamo una quantità di grappini (specie di ancorotti) di svariate dimensioni, che, mandati in fondo al mare, attaccati ad una corda di acciaio-manilla, servono a ricercare un cavo posato ed a sollevarlo alla superficie.
Al centro della nave troviamo la macchina di posa composta di due tamburi indipendenti, azionati ciascuno da una macchina a vapore e muniti di freni potenti; essa serve alla posa ed al salpamento dei cavi. Allineati coi tamburi vediamo due dinamometri, e a poppa un altro, che misurano la tensione meccanica a cui è sottoposto un cavo durante i lavori. Al centro della nave troviamo pure il Gabinetto elettrico, ricco di svariati strumenti, dove si fanno le esperienze sui cavi per accertarne le buone condizioni o ricercare i guasti. A poppa troviamo pure una macchina per scandagliare la profondità del mare. La nave dunque sta imbarcando del cavo e vediamo che essa ha steso, da uno dei suoi due alberi all’officina, una corda metallica che porta molte puleggine, entro le quali è infilato il cavo. Questo viene tirato a bordo con una macchinetta e inviato nelle vasche, dove viene disposto, come abbiamo detto, a strati orizzontali, guidato da un uomo che cammina per accompagnarlo. Operazione quindi abbastanza lunga, che può richiedere settimane di lavoro ininterrotto. Vediamo un po’ come è fatto un cavo telegrafico sottomarino. Anzitutto, il filo metallico che conduce la corrente nel cavo, è costituito da una cordicella di fili di rame; per isolare questa cordicella dal contatto dell’acqua, essa è circondata da uno o più strati di guttaperca e così costituisce l’anima del cavo. Occorre proteggere quest’anima da facili guasti, siano essi provocati dall’uomo (per esempio da ancore di navi, da draghe di pescatori) o da grossi animali marini, od anche semplicemente dal moto ondoso del mare e dalle correnti marine, che rimuovendo continuamente l’anima e fregandola contro gli scogli, le ghiaie e le sabbie del fondo, finirebbero col logorarne l’involucro isolante e romperla. Si protegge l’anima fabbricandole attorno una corda di fili di ferro od acciaio zincato; questa corda si chiama armatura.
Fra l’anima e l’armatura si frappone una imbottitura di juta tannata. Sull’armatura si dispone anche una fasciatura di tela catramata, destinata a proteggerla dalla ruggine e ad impedire al cavo di strisciare sui tamburi metallici durante i lavori. In un mare molto profondo le cause esterne dei guasti non sono numerose; laggiù non esistono quei grossi animali che possono addentare un cavo e spezzarlo violentemente, o quei coralli e piante marine che a poco a poco corrodono l’armatura; niente turba la tranquillità di quei fondi, ove la natura sembra sonnecchiare. Qui il cavo deve essere molto leggero, ma molto resistente alla trazione per sopportare il proprio peso durante i lavori. Il tipo comune ha l’armatura di 15 fili d’acciaio da 2,5 mm di alta resistenza (peso per metro in aria 1 kg, in acqua di mare circa 700 grammi, diametro esterno circa 20 mm). Per contro, vicino alle coste, queste cause esterne di distruzione si fanno vivamente sentire, e l’armatura deve essere robustissima, formata, per esempio, di 10 fili di ferro da 9,5 mm (peso per metro 7 kg circa, diametro esterno 50 mm circa). Fra questi due tipi estremi è facile immaginare dei tipi intermedi da posare man mano che il fondo va degradando. La posa di un cavo si fa a questo modo: studiato bene il fondo del mare sulle carte nautiche e magari mediante una apposita campagna preventiva di scandagli, si fissano gli approdi e si segna su dette carte il tracciato da seguire. La nave si àncora a poca distanza da uno degli approdi e si manda a terra la testa del cavo telegrafico da posare, sorretta da galleggianti perchè non strisci sul fondo. Arrivata a terra, la cima viene introdotta in una trincea sino entro al casotto d’approdo. Poi la nave parte a piccola velocità seguendo il tracciato previsto. Già sappiamo che alla costa è destinata una certa lunghezza di cavo pesante, per esempio un miglio, sino a raggiungere, poniamo, 10 metri di fondo; passa così questo miglio di cavo, al quale, durante l’imbarco, sono già state attaccate le lunghezze richieste, di cavi intermedi e di fondo. Il cavo che esce dalle vasche va al tamburo della macchina di posa, passa a un dinamometro, e quindi è guidato alla puleggia di poppa, donde scende in mare.
Si regola opportunamente la velocità della nave e la frenatura del cavo, in modo da non posarne in grande eccesso, ma abbastanza abbondante (imbando) in modo di permetterne poi il sollevamento in caso di riparazioni. Passano poi il cavo intermedio pesante (supponiamo tre miglia) sino ai fondi di circa 100 metri, l’intermedio leggero sino ai fondi di circa 200 metri (e supponiamo 5 miglia) e quindi il cavo di fondo, che costituirà la parte maggiore della linea. Man mano che si arriva ai cavi più leggeri, la velocità della nave viene aumentata, sino a raggiungere 5-6 miglia all’ora quando si posa il cavo di fondo. Posata così una certa lunghezza di cavo, esso viene tagliato e la cima immersa in mare ed affidata ad una boa. Perchè questo arresto? Perchè non si potrebbe invero continuare la posa sino a raggiungere l’altro approdo, poichè ad ogni atterraggio spetta una certa lunghezza di cavi di sponda ed intermedi; non si potrebbe regolare lo svolgimento del cavo così bene da raggiungere l’altro approdo coi tipi di cavo ad esso destinati. Si riprende quindi l’operazione nell’identico modo dall’approdo opposto, posando il cavo grosso di sponda, i vari tipi intermedi, e quello di fondo fino a raggiungere la boa; presa allora a bordo la cima boata, si congiunge al cavo nuovamente posato e si getta in mare il giunto, detto giunto finale, che completa la linea. Durante la posa si esperimenta in modo continuo il cavo per accertarne le perfette condizioni elettriche e assicurarsi che non si manifesti alcun guasto. I cavi sono soggetti a guastarsi per varie cause. Quando si manifesta un guasto in un cavo posato, si fanno dai casotti d’approdo esperimenti elettrici per localizzarne la distanza, in miglia, dal casotto; essa viene riportata sulle carte nautiche ove è tracciato il cavo. Non è possibile dare un’idea di questi esperimenti laboriosi e delicati; diremo solo che tale posizione viene determinata con un errore quasi sempre trascurabile. La nave parte quindi per questo punto, ove mette in mare una boa segnale, punto di riferimento per tutti i lavori. Si sposta quindi due o tre miglia di traverso al tracciato e cala in fondo al mare, da una delle pulegge di prua, un grappino assicurato a una lunga gomena o cavo speciale da grappino; quindi fa lentamente delle piccole bordate attraverso al tracciato del cavo telegrafico.
A bordo la gomena del grappino passa dalla puleggia di prua ad un dinamometro e quindi al tamburo della macchina a salpare. Durante il grappinaggio il dinamometro segna una tensione dovuta al peso della gomena del grappino, alla resistenza che essa incontra nell’acqua ed allo sforzo che il grappino fa per arare il fondo. Quando il cavo telegrafico è afferrato, viene sulle prime un po’ trascinato sul fondo, poi, messo in tensione, reagisce lentamente; e a bordo si osserva che il dinamometro sale dolcemente. Se si fosse invece incocciato uno scoglio, la tensione salirebbe bruscamente. Dal graduale aumento di tensione si giudica che il cavo può essere preso. Si ferma allora la nave e si salpa dolcemente il grappino, che porterà a bordo il doppino di cavo telegrafico a cavallo delle marre (in una riparazione del cavo Napoli-Palermo, per sollevare da circa 3700 metri di profondità, impiegammo 18 ore e il dinamometro arrivò a segnare una tensione di 20 tonnellate). Tagliato il doppino, si sperimentano le condizioni elettriche dei due pezzi del cavo: uno è generalmente buono e si rimette in mare affidandolo ad una boa; l’altro, contenente il guasto, si salpa, sino a che, dalle prove elettriche, si nota che il guasto è venuto a bordo. Si taglia allora il cavo al di là del guasto, lo si giunta col cavo nuovo disponibile a bordo e si posa dirigendo verso la boa, alla quale è stata affidata l’altra cima. Questa si salpa e si giunta col cavo nuovamente posato, calando poi in mare il giunto finale. Se il cavo fosse invece rotto, la riparazione procede in modo analogo; soltanto si dovranno grappinare le due cime ai due lati della rottura, col grappino d’arresto, che impedisce al cavo afferrato di scivolare durante il salpamento del grappino stesso.
A cura di Massimo Velati