Viaggio inaugurale Tyrsus
Golfo Aranci
La lunga estate sembra sia finita proprio stamane. Cielo imbronciato su Roma in questo sonnolento mattino di domenica, al momento della partenza della elettromotrice che ci condurrà a Civitavecchia. Li ci imbarcheremo sulla Tyrsus, che compie oggi il suo viaggio inaugurale.
Molte le autorità a bordo del treno speciale che ci ospita: il Ministro degli Esteri Segni, quello dei Trasporti Spataro con il Capo di Gabinetto Severini, il senatore Corbellini, alcuni parlamentari sardi, il prof. Altara della Cassa del Mezzogiorno, il nostro direttore generale ing. Rissone, il direttore compartimentale di Roma, direttori di Servizi, consiglieri di Amministrazione e gli esponenti dei cantieri che hanno costruito la nave.
Tra i più interessati, naturalmente, il direttore del Servizio Materiale e Trazione ing. Castellini e Ting. Camposano, capo della Sezione che tratta le nostre costruzioni navali. Quanto al suo braccio destro, ing. Trozzi e quello sinistro, ing. Scarsini, li troveremo entrambi sulla nave.
Questo servizio di navi traghetto tra il Continente e la Sardegna nasce solo apparentemente sotto il segno della contraddizione: da un lato previsioni assai autorevoli e qualificate di deficit di gestione, dall’altro assicurazioni positive e certo non meno attendibili.
In realtà i due punti di vista possono essere ben conciliati: il sacrificio delle F.S. potrà infatti funzionare come una di quelle molle che fanno scattare un meccanismo di avvio e lo tengono su di giri finché diverrà inarrestabile per forza propria, sia pure originariamente « indotta ».
E non c’è dubbio che ponendosi — come devono porsi — sul piano dell’interesse generale del Paese, gli uomini di governo hanno visto giusto e lontano e hanno gettato le basi per un investimento che alla fine si confermerà eccellente.
Puntuali come ferrovieri, siamo all’invasatura continentale. La nave è lì e issa il gran pavese che fa da contrappunto alle bandiere del porto e della tribuna.
Sguardi sorridenti e compiaciuti di tutti, con la sola eccezione dei cine-foto-reporter che imprecano contro le nuvole.
Parla il rappresentante del Comune di Civitavecchia, che ringrazia il Governo per la realizzazione, piena di promesse anche per il « Porto di Roma »: poi il Presidente della Giunta Regionale Sarda, Corrias, che felicemente addita l’evento come un concreto contributo alle celebrazioni dell’Unità del Paese, la quale si avvia a divenire economica dopo essere stata spirituale e politica.
Infine il Ministro dei Trasporti riassume il significato e la portata di questo ponte gettato sul Tirreno e attesta i titoli di merito della Cassa del Mezzogiorno che ha finanziato la costruzione della nave. L’arcivescovo di Civitavecchia benedice lo scafo in nome di Dio. Le forbici tagliano il nastro tricolore, gli altoparlanti entrano a tempo con le prime battute dell’Inno di Mameli e tutti saliamo a bordo. Molto bene.
Ore 9,30
Si salpa. Come se partissimo per le Indie, fazzoletti e mani sventolano tra terra e bordo. Avanti adagio, mezza forza, tutta. C’è un po’ di « mare » — forza 4 o più — ma il rollio è minimo, per via delle pinne stabilizzatrici.
Lo scafo è veloce, in breve è fuori, lontano, in mare aperto.
In Italia non era mai capitato che una Nave Traghetto si fosse avventurata tanto al largo : e anche il percorso della svedese Trolleborg da Sassnitz a Trolleborg — precedente record europeo — è breve in confronto al nuovo primato di 215 km. che ci separano da Golfo Aranci, con 8 ore di navigazione. Per questo la nave ha caratteristiche nautiche nuove per i nostri mari: prora chiusa, potenza e velocità elevate, doppio radar, scandaglio ultrasonico e via discorrendo. Ore 10
Messa a bordo. Senza apparato, in semplicità francescana, Padre Onni officia sul ponte dei binari. Anche questa nave è un atto d’amore, una mano tesa, un gesto di comprensione e perciò sarà cara al Signore.
Adesso piove che Dio la manda, come manda un tuono bello e scrocchiante. Mi viene in mente che gli antichi scrutavano nel cielo gli auspici, durante le cerimonie solenni: « dedit omina laevo Jupiter ».
Comunque, sposa bagnata, sposa fortunata — si dice — e il mare è certamente il naturale marito di questa barca agghindata.
Ma intanto l’acqua ci viene addosso a vento, quando attraversiamo i ponti aperti. Pazienza, fa caldo.
Ore 11
Giro per curiosare. La nave è bella, elegante, senza fronzoli, liscia e funzionale. Parlo con Roma per radio-telefono, benissimo. Intorno si affaccenda l’equipaggio, 83 uomini in tutto, e fa piacere vedere come sono ben messi, efficienti, impeccabili. Penso al comandante cui è toccata la « Tyrsus » e alla fortuna che ha avuto e alla sua probabile contentezza. In confronto ai suoi colleghi che fanno la spola fra le due sponde, a vista, da Villa a Messina, costui è un Magellano, un Vespucci, un Colombo.
Chissà come ci si trova, dopo tanto che non assaggiava il mare aperto. Voglio parlarci.
Ore 12
Colazione. Si mangia ottimamente A tavola, due sole rappresentanti del bèl sesso: la Signora del Comandante e la vivace Signora D’Inzillo, Capo dell’Ufficio Stampa dell’on.le Spataro.
A Golfo Aranci penseranno che arriva un bastimento carico di misogini.
Ore 16
Non siamo più tanto lontani, e anzi ad avere la vista buona si incomincia ad intravedere terra. Con i gabbiani, una coppia di delfini segue la nave, ruzzando in segno di simpatia, per spirito di amicizia e desiderio di compagnia. Solo i delfini cattivi — che sono pochi — lo fanno per basso calcolo perché contano sugli avanzi di cambusa.
Approfitto delle ore un po’ morte per vedere qualche altra cosa. Il montacarichi per le macchine e gli autocarri, la piattaforma per girarli in modo dà presentarli all’uscita senza lunghe manovre, l’interno della ciminiera, grossa come una casa, il locale macchine. C’è un rumore infernale, e non posso certo invidiare la vita degli uomini che lavorano laggiù.
Ore 17
Siamo sfilati davanti all’isola di Tavolara e andiamo all’approdo. Visioni di superba bellezza; la costa è alta e rupestre, piena di insenature e di boschi, che danno al mare un colore denso e profondo. Il tramonto ormai vicino crea sulle nuvole effetti cromatici singolari.
Dalla costa ci vengono intorno sciami di imbarcazioni imbandierate e festanti, con le sirene che fischiano a distesa. Sinceramente, è uno spettacolo emozionante e carico di suggestione: né mi sorprenderei molto se bellissime isolane vestite di collane di fiori salissero a bordo a darci il benvenuto.
A terra c’è un entusiasmo irrefrenabile, che la pioggia non ha placato. Si vede che la gente è vicina alla commozione e in realtà ne ha tutte le ragioni, perché probabilmente questo avvenimento segna per coloro che attendono un cambiamento netto, dalla notte al giorno.
D’altra parte, questi sardi Io hanno meritato: gente seria, piena di amor proprio e di dignità, pronta a impegnarsi a disimpegnarsi in ogni ruolo. Una banda riceve la nave, alla buona, senza divise né pennacchi e forse anche con strumenti un po’ arrangiati: ma si vede che ci soffia dentro tutto il fiato che ha in corpo.
Si scende a terra, sul palco sì stipano le autorità e i discorsi hanno inizio. Parla il sindaco di Olbia, la cui riconoscenza è senza dubbio indicativa e sincera: poi il prof. Altare per la Cassa del Mezzogiorno, l’on. Corrias, l’on. Mannironi, già nostro sottosegretario e attuale sottosegretario alla Marina Mercantile, il quale pone l’accento sulla complementarietà tra i servizi effettuati con nave ordinaria e quelli della Nave Traghetto.
L’on. Spataro riassume a questo punto la storia e la portata dell’avvenimento e completa il frammentario panorama con una esposizione organica, densa di indicazioni tecniche, che parlano un linguaggio forse fra tutti il più eloquente.
Infine, a braccio, l’on. Segni: la folla lo attornia con affetto evidente, che egli ha ripagato — del resto — con egual trasporto e con un contributo assai concreto.
Genitori comuni — egli finisce per ricordare — di questo evento e di questo progresso sono il costume democratico e quella libertà che a sua volta De Gasperi chiamò figlia di Dio e che segna ogni tappa come una conquista cosciente e responsabile.
I discorsi sono finiti: i locali salgono a bordo e non sarà facile poi convincerli a tornare a terra. Questa nave rappresenta una meta troppo a lungo sospirata e adesso è legittimo che essi vogliano fisicamente prenderne possesso.
Ore 20
Partenza. Nell’oscurità sopraggiunta, la nave lascia la rada. Ne approfitto per andare a fare due chiacchiere con il Comandante Francesco Salzone che è in plancia. Ha un viso asciutto segnato dal sale e dal sole, è autoritario, ma cordiale e cortese.
Dopo aver girato per una decina di anni tutti i mari del mondo, dal 1927 fino a ieri ha navigato in servizio ferro-navale sullo stretto di Messina. Ne conserva un grato ricordo, ma adesso può dire di aver toccato la mèta più ambita: praticamente è l’ammiraglio F.S.
Qui, in mare aperto, la navigazione è certo più impegnativa; ma con una nave del genere, docile e perfetta anche per un marinaio esigente, i problemi nautici non preoccupano né lui né gli altri 12 ufficiali che, compreso il direttore di macchina, costituiscono i suoi quadri.
Ore 24
Spartendo l’acqua ormai nera, la prua apre la strada del nostro ritorno. Andiamo adagio, per non arrivare all’alba.
Quasi tutti gli ospiti sono ormai a dormire, un po’ stanchi.
Ben più provati, gli uomini di coperta e di macchina ancora lavorano a turno.
Saremo a Civitavecchia alle otto: dopo un’ora la nave ripartirà e gli uomini dell’equipaggio saranno sempre quelli, con la loro stanchezza, in attesa del riposo che tarda. Veri marinai, veri ferrovieri.
A cura di Massimo Velati.