La Sardegna e i Sardi

Di CHARLES EDWARDES

La Sardegna e i sardi

La Sardegna e i sardi

Fu al termine di un’umida notte di maggio che sbarcai dal vapore a Golfo Aranci, a nord-est della Sardegna. La nave collega ogni giorno l’Italia con l’Isola, lasciando la terra ferma nella rossa luminescenza del sole che declina all’arrivo dopo dieci o dodici ore di viaggio. Ritengo che raramente sia stracarica di passeggeri. Un viaggio di dodici ore costituisce un’impresa ardua per l’italiano medio che, per giunta, se qualcosa conosce della Sardegna, pensa sia una terra di barbari (latrunculi mastrucati) e sa bene che nelle sue selvagge terre deserte non troverà dei caffè con i tavolini sistemati al sole ed altre comodità per i suoi gusti dissoluti.
Iniziammo il nostro viaggio abbastanza felicemente. Il sole tramontò in un cielo senza nuvole ed il fumo della ciminiera non subiva deviazioni. Dal crepuscolo fino a notte fonda, una coppia di mandolini suonò nella zona popolare della nave e, con la variante delle incursioni di una temeraria voce tenorile, questa musica gentile durò finché presi sonno.
Alle quattro del mattino ci trovammo nell’oscurità silente del mare aperto della Sardegna, sotto un gagliardo acquazzone. Ma le nuvole alte nel cielo non erano foriere di pioggia. Nel mezzo della massa della nera nuvolaglia, che a tratti si squarciava sopra di noi, brillavano come tenere lune le stelle più grandi. Il loro lucore ci permetteva di scorgere le brevi onde oleose del mare e ci costringeva a sforzare la vista per scrutare le forme spettrali dei promontori collinosi che, come le curve di un forcipe, racchiudono il golfo degli Aranci.
La certezza più assoluta della vicinanza della terra l’avemmo attraverso il senso dell’olfatto. Si percepiva l’incantevole profumo di erbe dolci, l’odore dell’acqua salata. Questo profumo andò intensificandosi quando, traghettati da una barca, raggiungemmo la banchina ferroviaria la quale serve, altresì, come molo di Golfo Aranci.
L’alba grigia, che frattanto si era sufficientemente rischiarata tanto da consentirci di discernere la presenza di parecchi ragazzini che si muovevano lungo il margine della spiaggia, di scorgere qualche casa bianca e la locomotiva di un trenino, rivelò pure i cespugli di timo selvatico, di lavanda, di alti cardi dai fiori azzurro pallido, di cisto, di menta che ricoprivano il declivio pietroso sul quale sbarcammo.
Grandi alberi di ginestra addolcivano l’aria. Avrei potuto immaginare di trovarmi a Kerry e d’altronde il modo brusco e sfacciato, col quale questi ragazzetti sardi si impossessarono del mio bagaglio, mi fece venire in mente proprio l’Irlanda e le costumanze della sua gente.
Nonostante gli sbuffi ed il lungo viaggio che lo aspettava, il trenino pareva non aver fretta alcuna di partire da Golfo Aranci. Sostò per un’ora e mezzo, zigzagando e infilandosi avanti e indietro sulle rotaie viscide.
Frattanto, la parte orientale del cielo aveva assunto un colore rossastro ed era ormai giorno fatto. Non si vedeva il sole; dominavano le nuvole che pendevano basse sulle grigie colline di granito e sulle scogliere tutt’intorno alla baia.
Ora si stagliava chiaro il profilo discontinuo del porto. Somigliava per buona parte alla costa d’Irlanda.
Qui, un impudente isolotto triangolare si elevava dall’acqua color porpora pallido fino alle nuvole. Nello sforzo di congiungersi al cielo, i suoi fianchi erbosi avevano ceduto, creando uno scosceso gradone nel granito. Ci si sarebbe potuti arrampicare dalla terra al cielo attraverso quella massiccia scala naturale. Altrove, le lingue di terra sommerse od emergenti dall’acqua somigliavano, per il loro aspetto, ai fantastici mostri marini scandinavi.
Il golfo è ben protetto. Pare, quasi, che la natura lo abbia racchiuso all’interno di tanti bastioni concentrici. Se l’isola più lontana dovesse sparire a causa di un cataclisma, spetterebbe a quella successiva l’onore di difenderlo.
La più appariscente, e la più grande di queste isole, è Tavolara, situata in direzione sud-est. Quando Carlo Alberto, nel 1843, visitò la Sardegna, il proprietario di Tavolara inviò garbatamente al sovrano delle pecore per la sua mensa. Il re volle ricambiare la cortesia e, pertanto, al colono fu chiesto che cosa potesse desiderare.
Una libbra di polvere da sparo fu la risposta data dopo breve esitazione. Ma questa è una vera sciocchezza da chiedere ad un re gli fu osservato.
Dite allora che mi piacerebbe essere re di Tavolara così che coloro che giungeranno qui mi rendano ossequio come fanno a lui soggiunse l’ingenuo. Da allora, il proprietario di Tavolara è diventato il “re di Tavolara”. Possiede una sua bandiera ed un cannone col quale spara in segno di saluto.
Questa stessa persona di larghe vedute si concesse due mogli, due sorelle; una, però, la teneva in un’isoletta del suo principato separata dall’altra, così che la sua pace domestica mai fu posta in pericolo ed egli, col mutar della compagnia, poteva permettersi anche il cambio della scena. Questa zona nord-orientale della Sardegna è una terra selvaggia e incolta.
Dai tempi in cui cominciò a rivestirsi di vegetazione, nessuno le recò mai fastidio fin quando, uno o due anni fa, il suo cuore venne sconvolto dalla ferrovia, affinché Cagliari potesse ricevere la corrispondenza da Roma più celermente che nel passato.
Le rocce di granito non stimolarono l’opera degli agricoltori. Le due o tre case dai tetti rossi, e il lungo edificio bianco della stazione ferroviaria, circondati da un giardino profumato, col favoloso rosso dei gerani in fiore, contribuiscono ad enfatizzare l’isolamento di Golfo Aranci che è il capolinea settentrionale della Sardegna.
Prima che si parta per il nostro lungo e tedioso viaggio, si è radunato il cielo sa da dove sia piovuto un gruppo di indigeni dalla pelle gialla per vedere la partenza del primo treno della giornata. Non ti colpiscono, quali esemplari umani, dal punto di vista fisico; oserei dire che l’aria umida non giovi ai loro polmoni, ciò non di meno è strano vedere questi figli e figlie della terra proteggersi la bocca con mantelli e scialli quasi fossero esposti al pericolo di respirare il grisou.
Ti costringono a ricordare le molte cose poco piacevoli che da parte di diverse persone famose si sono dette nei confronti del clima della Sardegna. «Un uomo pestifero come la sua terra», disse Cicerone, perorando una causa contro un sardo.
E Dante non esitò a fare un parallelo accoppiando «tutti gli invalidi della Sardegna e della Maremma». Ma tanto Dante che Cicerone giudicavano la Sardegna soltanto sulla base della fama che si era creata. Un uomo, con in capo il berretto frigio, è quello più in vista della compagnia che sta sul treno ma, come gli altri, è stato morso dall’aspide della civiltà. Invece di portare la mastruca, indossa un abito da manovale, di velluto a coste marrone, ed i pantaloni li porta legati sopra la caviglia con un pezzo di comune cordicella.
Alla fine si parte. Procediamo a zigzag fra le sinuosità dell’istmo che collega Terranova, l’antica capitale della Sardegna settentrionale, con Golfo Aranci. Passiamo da una baia tranquilla, dall’acqua bassa color ametista, ad un’altra con erbe appuntite e fitte, nella parte che guarda verso terra, e sagome indistinte di isolette montuose emergono nella foschia del mare. Iniziamo, così, il nostro itinerario attraverso la Sardegna alla velocità media di diciassette miglia all’ora. A coloro che nutrono interesse per le vicende imprenditoriali, la storia della ferrovia in Sardegna si presenta come qualcosa di romanzesco.

A cura di Massimo Velati

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